Questo strumento a filo, che De L'Hospital impiega nel suo trattato sulle sezioni coniche (ed. 1720) per definire la parabola, è descritto da Kepler ("Ad Vitellionem Paralipomena", ed. 1604) insieme a quelli (più facili da ideare perchè implicitamente contenuti nelle proposizioni 51 e 52 del libro III° di Apollonio) che tracciano ellissi ed iperboli: in modo particolarmente interessante perchè fa ricorso al concetto di infinito attuale e al codice dell'analogia. "A lungo mi dolsi" - scrive Kepler - di non saper descrivere col filo anche una parabola: finalmente l'analogia mi mostrò una soluzione". Se infatti si immagina una parabola di fuoco F come una ellisse avente uno dei fuochi in F e l'altro a distanza "infinita" da F (sicchè la retta che lo congiunge a un punto P della curva diventa parallela all'asse di questa), sia la somma delle distanze dei due fuochi da P, sia la loro differenza, è una semiretta: che può essere considerata di lunghezza costante. Quindi è possibile immaginare la parabola sia come ellisse che come iperbole. Poichè la parabola è il luogo dei punti equidistanti da una retta (direttrice) e da un punto ad essa esterno (fuoco), nello strumento (costruito per "analogia" con un ellissografo o iperbolografo) la lunghezza totale del filo teso risulta pari alla distanza fra la direttrice e una retta a questa parallela (base del segmento parabolico tracciato).
Una squadra costituita dalle aste perpendicolari a e b ha il lato a scorrevole su una guida rettilinea d; F è un perno fissato sul piano e A è un perno fissato su b. Un filo di lunghezza l=AH è vincolato nei suoi estremi ai punti A e O. Se si fa scorrere a lungo s e contemporaneamente con la punta di una matita si mantiene il filo teso e accostato all'asta b, si disegna un arco di parabola avente fuoco in O e direttrice coincidente con s. Si ha infatti PO=l-AP=AH-AP=PH. Nella macchina il sistema è raddoppiato in modo da poter disegnare due archi simmetrici di parabola.