Strumenti di «invention piana»
La difesa delle arti meccaniche dalla accusa di
indegnità il rifiuto di fare coincidere l’orizzonte della cultura con quello
delle arti liberali e le operazioni pratiche con il lavoro servile implicavano
in realtà l’abbandono di una millenaria immagine della scienza, implicavano la
fine di una distinzione di essenza fra il conoscere e il fare”
(P. Rossi: La
nascita della Scienza moderna in Europa).
Troviamo la descrizione di strumenti
nei trattati dei matematici a partire dal ‘500. Ad esempio Cavalieri (1598-1647,
Lo specchio ustorio), dopo aver descritto dettagliatamente le proprietà delle
coniche, sostiene che “non ci potranno arrecare le utilità da noi accennate,
se non anco non sapessimo descriverle, e farle in materia” e descrive due
tipi di strumenti, quelli di “invention
solida” e quelli di “invention piana”.
Tali strumenti sono macchine
matematiche in quanto il loro scopo fondamentale (indipendentemente dall’uso
che si farà poi della macchina stessa) è risolvere questo problema: obbligare
un punto o un segmento o una figura geometrica qualsiasi (sostenuti da un
opportuno supporto materiale che li renda visibili) a muoversi nello spazio o a
subire trasformazioni seguendo una legge predeterminata astrattamente e
matematicamente.
La macchina diventa allora
raffigurazione concreta, materializzazione di quella legge; non interessa la
forza motrice né la maggiore o minore complessità del meccanismo, né la sua
natura, né il livello di precisione ed efficienza, importa solo che la macchina
sia fedele oggettivazione della legge.